La Moneta fiscale di Zibordi e Becchi

Post n° 6 - 01 aprile 2019

Ho letto e sono trasalito. Parlo del pesce d’aprile 2019 comparso oggi sul sole 24 ore. Firmato Giovanni Zibordi e Paolo Becchi.

Una moneta fiscale parallela per crescere senza fare debito

Chiamateli minibot, chiamateli certificati di credito fiscale, chiamatela moneta fiscale, chiamateli come volete. Sempre quelli sono: biglietti emessi dallo stato che non valgono nulla (non sono Euro) ma che danno il diritto a chi li possiede di restituirli allo stato sotto forma di tasse. Non subito ma dopo due anni. Perché dopo due anni? Perché se li restituissimo già lo stesso anno dell’emissione, lo stato avrebbe un ammanco di entrate fiscali pari alla quantità di bonus fiscali utilizzati per pagare le imposte. Diciamo che lo stato incassa ogni anno circa 760 miliardi di entrate fiscali. Se emettesse 40 miliardi di bonus, nel momento in cui questi venissero utilizzati per pagare le tasse, lo stato incasserebbe 720 miliardi. E le pensioni, giusto per citare una spesa, come le pagherebbe? Ci arriviamo tra un po’.

Per evitare di avere questo ammanco di entrate fiscali i nostri eroi dicono: facciamo che chi li possiede li possa utilizzare per pagare le imposte ma solo dopo due anni dalla loro emissione, così abbiamo tutto il tempo di far crescere il PIL e aumentare le entrate fiscali per coprire l’ammanco.

A questo punto urge prendere la calcolatrice e fare due conticini. Il loro supermodello prevede di “creare” 40 miliardi nel 2020 (quindi utilizzabili immagino dal 2022) e altri 40 nel 2021 (quindi utilizzabili dal 2023). Ora, per coprire con l’aumento di gettito l’ammanco che lo stato avrebbe nel 2022 e nel 2023 servirebbe una crescita media pari a circa il 2,5% annuo (già quest’anno). Nominale o reale? Decidete voi. Reale sarebbe meglio ma vorrebbe dire avere per quattro anni di fila una crescita che non abbiamo più avuto dal 1991. Nominale invece è più facile da raggiungere ma equivarrebbe a dire diminuzione della spesa reale. La matematica delle elementari dovrebbe essere sufficiente a farci capire che se il PIL aumenta per effetto dell’inflazione e si vuole dare ai cittadini lo stesso livello di servizi in termini di spesa pubblica, quest’ultima deve aumentare di conseguenza. Si capisce? Avete presente quelle cose tipo: blocco dell’adeguamento al costo della vita di stipendi e pensioni? Ecco, quella cosa lì.

Per fortuna i nostri eroi hanno una soluzione anche per il caso in cui il gettito fiscale, pur con una maggior crescita, non sia sufficiente a coprire il buco di 80 miliardi. Che problema c’è? Riutilizziamo la moneta fiscale per pagare la spesa pubblica. Così ci siamo inventati una nuova moneta e tié all’Euro. Peccato che l’Euro continuerebbe ad esistere, peccato che il suo valore sarebbe per ovvi motivi maggiore di quello della moneta fiscale. Immaginate allora un pensionato che riceve il 20% del suo emolumento in bonus fiscali, va dal macellaio il quale gli dice che accetta i bonus fiscali ma non alla pari. Si chiama perdita del potere di acquisto. Stessa cosa se lo stesso pensionato cambiasse moneta fiscale con Euro, anche in questo caso non alla pari. Insomma siamo alle solite. Fantasie fiscali che avrebbero come unico effetto quello di far pagare i benefici di chi riceve il bonus, alla collettività, direi anche alle fasce più deboli (quelle aventi un basso potere di acquisto). Un po’ come succede già oggi. Parte delle manovre del governo attuale sono pagate dalla riduzione di potere di acquisto delle pensioni. Altrimenti detto: gioco delle tre carte.